giovedì 14 giugno 2018

Pavia..."c'era"

Ci sono, a Pavia, dei siti speciali. Vie, piazze, luoghi che, ad entrarvi, conducono fuori dal presente, in un tempo sospeso, dove anche la qualità dell'aria è diversa, dove i rumori della città non arrivano, o giungono tanto lontani da non poter essere uditi; dove la luce, rastremata sopra alte mura, costretta da facciate e spigoli, costruisce geometrie lapidarie, improvvisa tuffi nell'ombra, scandisce percorsi e colori.
 Sono i luoghi della Pavia dei re, i cui passi ancora risuonano lungo le vie lastricate di ciottoli di fiume. Pavia  -Ticinum-  capitale del Regno dei Goti di Teodorico; Pavia che si arrende ad Alboino e per due secoli è dimora di una stirpe di re longobardi. Teodolinda, la pia, pregò sotto questo cielo. Liutprandio. Rotari. E poi Carlo Magno e l'impero carolingio. Poi il Barbarossa e gli imperatori tedeschi. I secoli galoppano. Le pagine di storia si rincorrono, si intrecciano. I nomi di vie e vicoli (degli Eruli, dei Goti, dei Longobardi, via Teodolinda, S. Ennodio, Stilicone...) scandiscono una ininterrotta sinfonia.
Quante anime ha Pavia? Di primo acchito si è tentati di rispondere: tante quante sono le pagine della sua storia. Poi, a camminarci con la fronte alta, guardando il cielo (che spesso -e più che mai nella città vecchia- è quel manzoniano "cielo di Lombardia") o scaldando gli occhi al rosso delle pietre, si capisce che Pavia ha una sola anima. Ed è quella, mai spenta, dell'antico villaggio edificato su una riva boscosa del Ticino. Lo si capisce nei pomeriggi di piena estate, quando il sole schiaffeggia le pietre attorno a San Michele e nell'aria immota, senza tempo, l'unico sonnolento riverbero di realtà è nel tubare sommesso dei colombi, in un repentino batter d'ali al nido. Mentre la calura piena batte anche l'ultimo muschio dei vicoli e arresta il tempo, insieme al respiro, colpisce l'acuto richiamo del fiume. Ineludibile amaro odore di marina, che ben avvertono i gabbiani che risalgono la corrente e nidificano presso le arcate del Ponte.
Pavia è tutta qui: fiume e pietre. E torri. Quelle torri che -cento- cantavano la gloria del Comune ghibellino. Ogni nuovo maschio nato, una torre. Torri snelle e invidiate. Ornamenti al cielo, ma anche, all'occorrenza, prigioni tristi o pericolosi baluardi. Ne sono rimaste poche. La più parte distrutte, o troncate per vendetta. Ma si può immaginarla, questa Pavia da vertigine, risalendo via Luigi Porta. Anche in giornate senza vento, qui c'è sempre, o quasi, un refolo bizzarro che azzarda mulinelli di foglie o piume. Cesare Angelini, quel gran vecchio che il vento lo portava con sé, bianco e nero, nei capelli e nella tonaca, amava percorrerla in modo da avvicinare, nella prospettiva, le due torri, sì che sembrassero sbarrare la via. E lui, pellegrino in Pavia, certamente aveva di che insegnare. Altrettanto bello è però arrestarsi, nel gioco fra le torri, un istante prima di averlo completato, quando a separarle rimane solo una lamina azzurra ed esse appaiono come una gigantesca porta (ironia dei nomi...) in procinto di spalancarsi. O di chiudersi per sempre.
Anima antica, quella di Pavia. Che canta con voci diverse secondo le stagioni. E se il sole ipnotico di piena estate è quello che meglio fa risuonare le pietre, la primavera, con l'alito lieve o con l'ostinato turbinio del vento che staglia le Alpi a corona, è la stagione che più di ogni altra glorifica i cortili, quando improvvisi, nascosti a sorpresa dietro cancelli silenziosi, spalancano alte magnolie. Talvolta stente, più spesso rigogliose. Tutte, come le  torri, in cerca di cielo.
C'è la Pavia della nebbia, che perde e smarrisce chi, non conoscendoli, s'avvita nei vicoli. C'è la Pavia dei passi secchi sul ghiaccio. E, bellissima, senza altra stagione se non quella degli astri, c'è la Pavia della luna piena che, lungi dal renderla spettrale, la trasforma nel palcoscenico di un'epopea.
C'era -purtroppo non c'è più- la Pavia del gorgoglio chiotto e suadente delle fontanelle, dove si beveva insieme ai colombi.
Quanti altri "c'era" diranno i nostri figli? Se non saranno le pietre a serbare lo spirito antico che da secoli aleggia in questa città di re...


Sul fondo di un cassetto ho ritrovato questo mio scritto. Risale, credo, ad una trentina d'anni fa. E' una lettera d'amore. La leggo e rileggo con grande tristezza.Oggi non avrei più le stesse parole: se cammino  per i vicoli che videro "stirpe di re" inciampo nel degrado, nell'incuria, in una negligenza arrogante e incivile.
Troppo presto è giunta l'ora dei "c'era"... Amata mia città, quanto malamente abbiamo custodito il tuo cuore...

lunedì 9 aprile 2018

Strati di realtà

Dietro l'altare la parete ha un tenue color ocra. Vi si riflettono i colori della vetrata di fronte, illuminata dal sole che sta scalando il cielo. Il pavimento è di marmo lucidato a specchio. E come uno specchio restituisce la gloria dei colori.
Improvvisa sulla parete, sul pavimento, trascorre un'ombra. Un uccello in volo. Fuori.
Quanta realtà è contenuta in quell'ombra?
Da quanti strati è composta la realtà?
Noi
in quale strato ci muoviamo?

Mentre osservo, i colori rapidamente si smorzano. Poi di nuovo si ravvivano. I contorni dei disegni della vetrata (che io non vedo) si fanno netti e perfettamente decifrabili. Finché tutto ancora si sfuma fino a diventare grigio. L'ombra, una nube sul sole. Ha ingoiato ogni colore.

Io non so se la mia vita, qui e ora, è sulla parete, o sul pavimento. Non so se sono un disegno sulla vetrata, o se sto volando fuori. In qualunque strato sia la mia vita all'interno della complessa, stupefacente danza che chiamiamo realtà, una cosa so per certo: per esistere ho bisogno della luce.
(25-5-2014)

domenica 8 aprile 2018

Buchi nel cuore

Tutti, abbiamo dei buchi nel cuore.
Sono le desolazioni lasciate dalle persone che non si lasciano incontrare.
Sono i sorrisi negati.
Sono quelle parole non dette che feriscono più dell'urlo, più del litigio, perché contengono una consapevole scelta di negazione.
"Tu per me non esisti".
Non è la morte, che ci graffia il cuore e lo lascia vuoto. No. La morte di chi abbiamo amato continua a riempirci di amore. Amore dolente, certo. Nutrito di lacrime e di memoria, di nostalgia e di rimpianti. Ma anche di gratitudine: io sono. Qui. Ora. Sono così perché anche tu con il  tuo amore mi hai forgiata.
Ogni persona che amiamo, costruisce un pezzo di noi.
Ogni persona che si lascia incontrare, costruisce un pezzo di noi. Ci si plasma a vicenda sotto lo stesso cielo. In attesa della stessa luce. Noi stessi spicchi di luce per il mondo quando lo percorriamo aperti all'abbraccio, all'ascolto, al sorriso.
Tutti abbiamo dei buchi nel cuore. Ma non dobbiamo temerli. Non esiste vuoto tanto grande da divorare chi si lascia incontrare dall'amore.

giovedì 15 giugno 2017

Buon compleanno

Non ci saranno candeline da spegnere oggi, Tiziano.
Sessantasette.
In lettere sembrano di più. Forse lo scherzo sarebbe stato proprio una torta grande abbastanza da contenerle tutte. Una fiamma per ogni anno della tua vita. Avresti soffiato ridendo.
Scommetto che avresti avuto in braccio Alessandro. Scommetto che sarebbero state del tipo che più soffi, più si riaccendono scoppiettando. Scommetto che tutti avremmo soffiato e soffiato. E soffiato.
C'è da ammattire a spegnerle... figuriamoci 67...

No.
Non dirò "e invece".
Non voglio.

15 novembre 2016 - 15 giugno 2017... Sette mesi esatti.

Siamo creature misere, entro i nostri confini...
Per non smarrirci abbiamo bisogno di computare.
Anni. Mesi. Giorni.
Contiamo per non perderci nell'eternità. Come ciechi, cerchiamo pareti per non precipitare.

Numeri. Alcuni hanno un significato misterioso. Continuano a presentarsi nelle nostre storie come un richiamo. Pietre d'inciampo, o forse limiti di contrassegno. I paracarri delle tappe che ci cambiano.
Vite come microuniversi. Saldamente fragili.

Chiudo gli occhi e la vedo, la nostra vita. L'abbiamo giocata insieme. Siamo stati fragili e saldi. La nostra vittoria: le nostre mani che non hanno mai smesso di cercarsi.
Non ho potuto trattenerti.
Non ho potuto accompagnarti, lì dove sei.
Per la prima volta, dal nostro "noi", te ne sei andato senza di me.
Chiudo gli occhi.
Mi perdo.
Il tuo azzurro è lì. Lo vedo nella luce.
Così vicino.
Così lontano.
Così dentro di me.

Non ho più bisogno di numeri. La luce li cancella. Li assorbe. Mi chiama.

Amore mio, non so quando verrò. Ma so che verrò. E sarà la luce a guidarmi.
Tieni alta la fiamma.

Anna


lunedì 7 novembre 2016

Vorrei



Vorrei essere pagina
per le tue parole.
Penna per il tuo pensiero,
Vorrei essere ali
e sospingere in alto
le tue parole pensate

mercoledì 7 maggio 2014

Lettera a Michel

Non ti chiedo "perché".
In molti te lo chiederanno tra quelli che ti amano.
In molti, si interrogheranno. E qualcuno si sentirà chiamato a dare risposte.
Io non ti chiedo perché.
Di te so pochissimo . Un nome: Michel
L'età : 16 anni.
Studente al secondo anno delle Superiori.
Un fratello, non so se più piccolo o più grande, ma che importa?
Una famiglia più che "normale", con un padre docente universitario e una madre insegnante di religione. Casa in una delle zone "meglio abitate" appena fuori città.
La conosco, sai Michel ? la tua zona. Conosco la chiesa. Ho presente i boschetti appena dietro, l'argine alto a tratti scosceso, a tratti digradante verso il fiume.
Non riesco però ad immaginare il tuo albero.
Non riesco a vederlo.
Non "voglio" vederlo.
Ti vedrei lì appeso a dondolare sopra il tuo zaino di studente; sopra alla bicicletta nera appena comperata.Ti vedrei in un turbine di "manine", avvolto di lanugine come in un sudario.
Un bosco che piange.
E' un niente quello che so di te. Ma mi deflagra dentro con il fragore di un tuono. Mi devasta con la potenza di un colpo a bruciapelo.
Ti sei appeso ad un ramo e ti sei ucciso. Hai detto che andavi al fiume a studiare storia. Che bello, poter studiare in mezzo al canto degli uccelli in amore, nel verde che esplode di primavera col sottofondo quieto dell'acqua che scorre.
Ma nello zaino non avevi i libri.
Sei uscito già sapendo che non avresti studiato.
Ma com'è stato Michel? Mentre camminavi verso il bosco pensavi a come ti saresti appeso? Ti sei chiesto se avresti sentito male? Chi volevi punire? A chi hai pensato con il tuo ultimo respiro?
Non ti chiedo perché. Il tuo zaino vuoto incenerisce ogni richiesta di spiegazioni.
Resto attonita in contemplazione di un mistero. Quello più grande, che ci affratella tutti, noi creature insipienti sull'orlo di un abisso universale.
La vita.
La morte.
Facce dello stesso mistero.
Tutti dobbiamo spendere questa moneta.
Piccolo Michel. Voglio bene al tuo cuore che ha tremato di fronte al mistero. Vedo le tue paure. Avessi incontrato qualcuno, sulla strada del bosco. Qualcuno che ti dicesse:"Anch'io ho paura. Anch'io vedo la sofferenza attorno a me. Anch'io so che il mondo è un luogo di dolore. Anch'io sono stato umiliato. Anch'io ho creduto di non essere amato. Ma guarda Michel. Guarda questo bosco. Ascolta la vita. Ascolta il cuore che batte dentro di te. Sei giovane come questo verde. Tu sei una speranza".
............
Chissà.
Forse il tuo cammino è rimasto solitario.
O forse hai chiuso le orecchie a chi ti parlava di speranza. A chi ti raccontava la vita.
Piccolo Michel.
Trabocco d'amore per te. Non posso farti domande. Posso solo amarti. E rivolgerti una preghiera.
Ora che hai capito, ora che le tue paure sono svanite, ora che sei parte compiuta del mistero, ti prego, da madre, non abbandonare la tua famiglia.
Ora che la tua anima è libera sii il suo sostegno. Stai vicino a loro. Li hai precipitati in una prova grande. 
Aiutali a vedere come non si muore.


mercoledì 29 gennaio 2014

Scioglilingua dalla Brianza del '900

Ti che ta tacat i tac      (Tu che  attacchi i tacchi
tacum i tac!                   attaccami i tacchi!
Mi tacat i tac a ti?          Io attaccare i tacchi a te?
Ti che ta tacat i tac?     Tu che  attacchi i tacchi?
Tacatai ti i to tac           Attaccateli tu i tuoi tacchi
ti che ta tacat i tac!       tu che  attacchi i tacchi!)