giovedì 31 marzo 2011

Una vetrata narra l'Apocalisse

Quella che si spalanca davanti agli occhi, entrando nella chiesa del Santissimo Crocifisso, a Pavia, è una narrazione. Imponente, alta dietro l’altare, disposta a catturare e trattenere ogni bagliore del sole nascente, si eleva la vetrata creata da Nives Marcassoli sul tema dell’Apocalisse. In trenta “specchiature” (le finestre di cui si compone l’opera) l’artista ha fissato la propria meditazione su uno dei testi sacri più letti, commentati e interpretati della storia, l’Apocalisse di Giovanni. Immenso testo profetico, di  fronte al quale, per usare le parole di un commento di mons. Gianfranco Ravasi , ”si prova un’attrazione e una vertigine”,  lo sgomento atterrito di chi, leggendo,  viene immerso nella realtà della storia umana , fatta di miserie, guerre, sangue, carestie, malvagità e perdizione, ma poi viene altrettanto vividamente proiettato nella visione onirica della luce salvifica dell’avvento di Cristo, che, dopo il Giudizio finale, ristabilirà la pace. L’Apocalisse è una Rivelazione, la rappresentazione dell’estremo duello tra il Bene e il Male, tra forze angeliche e forze demoniache, fino alla sconfitta di Babilonia,“la grande meretrice”, e alla vittoria finale della Città santa, la nuova Gerusalemme “discesa dal Cielo da presso Dio, preparata come una sposa adorna per il suo sposo”.
Entrambi questi elementi, la tenebra del caos e la luce trascendente del divino, sono narrati con grande potenza  d’immagini nell’opera di Nives Marcassoli, che presenta tale dualità mediante un sapiente uso del colore e una studiata rappresentazione del movimento impresso al segno. In un arco naturalmente evocativo di un orizzonte planetario, l’artista opera una immediata scissione  tra la luce e la tenebra: la nervatura centrale della vetrata è la cesura drammatica tra un hic et nunc  vorticoso e senza luce e la rivelazione di un futuro  che risplende della pace dell’Agnello.
A sinistra il caos. A destra la pace.
E così guardiamo e le immagini, vigorosamente, raccontano.
Eccoli, i quattro cavalli dell’Apocalisse che avanzano scalpitanti, ognuno latore di un flagello: Il cavallo bianco, colore apparentemente “benefico”, in realtà , con il simbolo dell’arco con la freccia già incoccata, ci porta nel cuore della battaglia. Corre, con la criniera al vento, incontro al sangue evocato dal cavallo rosso  -il secondo sigillo spezzato -  simbolo della guerra. E la furia distruttiva del cavallo rosso è nel fuoco che sprizza in scintille sotto i suoi zoccoli; nella criniera che pare farsi essa stessa fiamma; nella spada confusa tra le lingue di fuoco; nel guizzo ribelle dei muscoli poderosi del collo e delle zampe, evidenziato dall’abile ritmo cromatico. Continua l’apertura dei sigilli ed ecco il cavallo nero della fame, che reca una bilancia che pesa sempre meno grano , che china la testa sopra una terra arida di pietre, incapace di nutrire i suoi figli; e poi l’ultimo, il cavallo verde con la falce della morte, che miete il raccolto seminato dai tre compagni di distruzione , che lo hanno preceduto. La potenza dei cavalli, evocata dai chiaroscuri dei corpi selvaggi, dalle criniere fluttuanti, imprime alla scena una fortissima drammaticità, il senso di un totale annientamento, reso ancora più evidente dal drago, il serpente, Satana, la Bestia, che precipita nel fuoco insieme alla macina, uno dei tanti simboli presenti nel testo apocalittico, per rappresentare il giudizio divino sulla storia umana ("Poi un angelo possente sollevò una pietra grande come una mola e la gettò nel mare dicendo: 'Con tale impeto sarà sommersa Babilonia, la grande città, e più non apparirà' ” ).
Fin qui i due elementi di distruzione (i cavalli e la Bestia) sono essenzialmente legati alla terra, ma ecco che subito sopra, nella vetrata, la sciagura diventa planetaria: allo squillo delle sette trombe angeliche, cadono le stelle; la luna prende “il colore del sangue”; il sole si oscura (tanto “da apparire nero come un sacco di crine”); piove fuoco dal cielo; Lucifero, principe degli angeli ribelli (Lucifero, ”Portatore di luce”, ”Stella del mattino”, forse l’ ”Assenzio”, di Giovanni) precipita scomposto. La drammaticità di quanto sta accadendo è resa ancora una volta dai colori cupi e tenebrosi e dalle immagini che disegnano vortici e si fanno vortice esse stesse: l’angelo precipita inarcando la schiena in un movimento che , proprio perché tragicamente innaturale, suggerisce il terribile castigo; i raggi del sole si riavvolgono su se stessi e uguale moto circolare interessa le stelle,  che vorticose si accartocciano in questo cataclisma spaventoso.
Il Giudizio divino si è abbattuto sugli uomini. Ma ecco che, mentre tutto implode, precipita, si chiude in un buio che pare senza speranza, irrompe la luce, che davvero si spalanca a penetrare e sconfiggere le tenebre. Ecco che, mentre a sinistra (si potrebbe dire, nel passato) l’artista ha raffigurato un mondo che ruota chiudendosi nell’annientamento, sulla parte destra della vetrata ci presenta il futuro che si apre, si espande nella luce. La figura centrale è quella di Cristo, un Cristo glorioso,anima della Chiesa, Chiesa vivente, rappresentato così come ce lo descrive il profeta: “Indossava una tunica lunga ed era cinto all’altezza del petto con una fascia dorata. I capelli della sua testa erano bianchi, simili a lana candida, come neve.(…). I suoi piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, quando è stato purificato nel crogiuolo”. Una serie di simboli , ad indicare purezza sacerdotale, regalità, saggezza,fortezza.  In mano: sette stelle, gli angeli che vegliano sulle “sette Chiese” ( di Efeso,Smirne, Pergamo,Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea) a cui si rivolge il Profeta. Ai piedi del Cristo, la “schiera sterminata degli eletti”,  quella “gran folla” vestita di bianco che agita rami di palma in segno di giubilo per la salvezza. Tra di loro , Nives Marcassoli pone anche gli angeli, a cui è affidato il compito di dar fiato alle trombe per innescare di volta in volta un nuovo flagello, che possa servire da castigo e ammonimento agli uomini che si sono allontanati da Dio. E qui, con la felice intuizione di raffigurare uno degli angeli trombettieri rivolto verso il caos, l’artista opera un collegamento visivo e teologico,che mostra in tutta la sua evidenza l’unitarietà della narrazione e la consequenzialità di quanto sta accadendo.
 “Poi vidi un cielo nuovo e una terra nuova” . Così scrive Giovanni , giunto ormai quasi all’epilogo della sua profezia. Ed il racconto delineato lungo il tracciato dell’arco della vetrata , viene puntualmente siglato dalle immagini delle ultime visioni : il  “fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello “  e uno degli “alberi della vita,  che portano frutto dodici volte, una ogni mese”. E’ questo l’unico punto “calmo” dell’intera rappresentazione: una scena di grande pace, quasi bucolica. Il fiume è vivo e benefico; le sue acque sono piene di pesci guizzanti, abbeverano le radici dell’albero, su cui splendono , colorati  diversamente secondo le stagioni, dodici frutti. Sopra l’albero, una colomba bianca pare scagliata via dalla potenza della luce sprigionata dal Cristo. Ma la colomba reca nel becco un ramoscello d’ulivo: sull’erba riposano, vicini, un lupo dall’espressione gentile ed un agnello che lo guarda fiducioso; lì presso, una cerva bruca sicura , perché ormai il tempo è compiuto “e ogni maledizione non vi sarà più” . L’umanità salvata è arrivata finalmente alla pace “senza notte” dell’approdo in Cristo. Il testo apocalittico si rivela dunque, anziché  una cupa profezia di sventura, un grande messaggio di speranza per il destino finale dell’uomo, inteso sia come “umanità”, sia come “persona”.


Tale rilettura dell’Apocalisse è frutto di un lavoro durato quasi tre anni, metà dei quali impiegati  dall’artista, come racconta lei stessa, a studiare ed approfondire il  testo sacro per concepirne  una sintesi iconografica. Il compito era impegnativo, considerata la quantità enorme di simboli, numeri, richiami e suggestioni contenuti nel libro di Giovanni; una sfida che andava ben oltre la prova d’artista. Nives Marcassoli  l’ha superata creando un’opera di grande impatto visivo ed emotivo, che si muove su uno dei numeri dell’Apocalisse, il sette. Sette sono infatti  i temi su cui, come si vede, è imperniata la scenografia: i cavalli del caos, il drago che brucia nel fuoco, l’universo che si stravolge,l’angelo che precipita, la schiera dei beati, il ritorno glorioso di Cristo, l’albero della vita. Ciascuna scena è indipendente, poiché  leggibile come “conclusa” in se stessa, eppure è intimamente connessa alle altre, necessaria al dinamismo intrinseco della narrazione. E’ questo uno dei grandi pregi dell’opera, che diventa così strumento e sussidio offerto alla meditazione. Un altro importante elemento distintivo, immediatamente percepibile, è squisitamente tecnico: l’uso del colore che appare ricchissimo, quasi lussureggiante. Anche su questo fronte la sfida era impegnativa. Nelle vetrate solitamente i colori sono netti, piatti, privi di sfumature. Qui , in uno spazio di circa cinquanta metri quadrati, ci troviamo invece di fronte ad un autentico “affresco in vetro”. La tecnica è quella della vetro fusione legata a piombo, ma le lastre colorate sono state usate e mescolate come i colori ad olio sulla tavolozza di un pittore. In ciascuna delle trenta specchiature l’artista ha legato da venticinque a cinquanta elementi in vetro colorato, usando oltre cinquanta “colori base” per produrre una affascinante sinfonia di sfumature, che scandisce i movimenti dei personaggi e dona all’insieme un dinamismo plastico indimenticabile.


La vetrata è stata posata nel novembre 2007, in occasione del trentesimo anniversario della parrocchia del SS. Crocifisso . Con quest’opera l’artista bergamasca,pavese d’adozione, completa il ciclo di vetrate create per la stessa chiesa nel 2001 (la facciata) e nel 2003 (la rappresentazione delle Beatitudini, poste lateralmente all’altare). Un totale di quasi cento metri quadrati di immagini.



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