lunedì 11 ottobre 2010

Tutti, vogliamo la pace.
Ci riempiamo la bocca, di   PPPACE.
Slogan, manifesti, bandiere. Facile colorarli di pace. Facile la critica e il dissenso ai governi.
Facile e, sì, giusto.
Giusto chiedere di vivere in un mondo senza guerre. Sacrosanto chiederlo ai governanti .
Legittima aspettativa. Ovvia richiesta. Preferisci vivere in un mondo dove piovono bombe e quando esci di casa salutando tua moglie, non sai se la rivedrai? o in un posto dove il ritorno è una tranquilla certezza? Preferisci un pugno che ti fa saltare i denti dalla bocca o una carezza? Ovvie risposte. Inutili domande.
Ma al di là (anzi, al di qua...) della PPPACE nel mondo, esiste la pace di ogni giorno. Quella che ciascuno di noi può edificare in sé, per sé e per chi gli sta attorno.
E' una pace non facile da conquistare e da agire. Richiede pazienza e un bel po' di lavoro sul desiderio di affermazione e di potere che, in varia misura, pare albergare  in ogni essere umano.
E' una pace che passa attraverso compassione e perdono.
Di se stessi, prima che degli altri. Non posso perdonare niente ad un altro, se prima non ho riconosciuto quel che "in me" non va e non l'ho perdonato.
Parliamo di piccole cose. Dei gesti quotidiani. Delle azioni di ogni giorno.
Quante volte, nella nostra giornata, incontriamo persone maleducate, scontrose, irascibili, attaccabrighe. Allo sportello della posta c'è sempre un'impiegata che pare opporsi a tutte le operazioni che devi fare; in ospedale trovi l'infermiera che risponde sgarbata e sembra non tenere in alcun conto l'altrui sofferenza, o il medico che liquida frettoloso, quando non villano, domande e dubbi. Non parliamo di quando si è in automobile, un mezzo che pare scatenare aggressività anche nelle persone da cui mai te la aspetteresti, forse perché ci si sente, in auto, potenti ( non si metteva...un tigre nel motore?) e protetti. Parcheggi, code, precedenze, sembrano essere altrettante occasioni per affermare una propria "supremazia" a dispetto e danno del prossimo di turno.
Ogni giorno può capitare di incontrare una persona che "tira le sberle". E molto spesso finisce davvero a sberle. Allora si va a schiaffi di parole, insulti, scambi di pesantezze, dispetto per dispetto. Va ancora bene se la cosa finisce lì, ma non sempre è così. Il crescendo di violenza può non arrestarsi al lancio delle parole. La cronaca ci racconta di altri "lanci". Drammatici. Così capita che investi un cane che ti attraversa la strada all'improvviso e ti ritrovi in coma per i pugni del padrone del cane.
Esempi al limite, ma la radice è quella stessa che muove la piccola aggressività quotidiana, che ci fa rispondere sberle verbali all'impiegata postale, all'infermiera, al medico...
Il cambiamento deve nascere da qui. Dal piccolo quotidiano.
Siamo tutti uomini sotto lo stesso cielo.
Tutti abbiamo i piedi ancorati a questo grumo di polvere che viaggia nello spazio, che chiamiamo Terra; siamo tutti accomunati nello stesso destino di nascere e morire. Il nostro corpo ha un inizio e una fine. E già vista così la commedia umana, non avrebbe senso la violenza. Prevaricare, perché? Essere primi, di che cosa? Quale soddisfazione può dare, accaparrarsi il primo posto nella fila del salumiere?
Ma c'è di più. Se i piedi sono le nostre radici, il capo è il nostro ponte verso il cielo. Dentro il corpo fisico  - questo corpo che doverosamente dobbiamo custodire e non maltrattare, ma che, essendo materia, ha un destino certo di decadimento e polverizzazione-  abbiamo un'intelligenza (più o meno vivace) e uno spirito (più o meno maturo), che ha un altrettanto certo destino di eternità. Lo spirito, che letteralmente ci anima, ma che spesso nemmeno riconosciamo.
I piedi ci tengono attaccati alla terra. Al "qui" e "ora".
La testa ci proietta nel desiderio d'infinito.
Nella nostra vita terrena, il punto d'equilibrio sta a metà  (nel cuore?),  tra la terra e il cielo.
E' un punto in cui si impara a distinguere tra i bisogni elementari, che vanno "doverosamente" soddisfatti, e tutta una pletora di finti bisogni, tra cui, appunto, il desiderio di supremazia, prevaricazione, potere; desiderio che scatena aggressività, di qualunque entità sia la posta in palio, sia essa il primo posto nella fila del salumiere, piuttosto che il possesso di un territorio.
Per capire, dentro noi stessi, quanto vani siano i finti bisogni, è utile immaginare di salire guardando in giù.
Partiamo dalla nostra casa e saliamo. La casa, con i suoi abitanti, ci apparirà sempre più piccola. La vedremo accanto alle altre, nella città. Ma, salendo, anche la città diventerà sempre più piccola, accanto ad altri luoghi abitati, finché, salendo ancora, non vedremo altro che quel grumo di polvere che viaggia nello spazio, che chiamiamo Terra.
Che senso ha scannarsi per cose che, guardando dall'alto (e neanche tanto, in alto) non esistono più?
Torniamo alla quotidianità dell'arroganza altrui.
Il muro che ho davanti a me, mi oppone resistenza solo se io lo spingo.
Se all'arroganza rispondo com-patendo, disarmo l'aggressore. Il sorriso, dietro cui l'altro possa leggere una comprensione autentica, smonta lo sgarbo.
La persona maleducata che mi sta rispondendo male, magari sta solo vivendo un momento doloroso, di fatica, di pena. Se invece di renderle la maleducazione, in una sorta di atto dimostrativo di forza, la accolgo, "perdonandola" ottengo sicuramente di non avvitarmi in  "una spirale di violenza" (perché proprio di questo si tratta, anche se la frase viene usata in ambiti di  gravità estrema), e quasi sicuramente di rimodularla verso un atteggiamento più disponibile. 
Non si tratta di accettare supinamente villanie e prevaricazioni, bensì di "disinnescarle".
La nostra vita terrena è composta di una miriade di atti più o meno significativi secondo l'ottica "mondana". Di ciascuno di questi atti, anche dei più piccoli, abbiamo la responsabilità, perché, pur nella loro "insignificanza" (mondana e a maggior ragione extramondana), essi concorrono a comporre la musica del mondo.
La pace vera si potrà realizzare non come semplice assenza di guerra, ma  solo se ciascuno di noi ne farà un proprio personale obiettivo, perseguendola nei piccoli gesti di ogni giorno, suonando note quotidiane di non-violenza.

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